Ad integrazione dei precedenti articoli pubblicati aventi per oggetto l’analisi dei principali modelli valutativi utilizzati nella valutazione aziendale (Multipli Ebitda, DCF) oggi introduciamo un ulteriore modello. Modello che rispetto ai precedenti, utilizza nell’ipotesi di aziende non quotate, proxy rilevate da titoli assimilabili quotati.
L’insieme di queste metodologie consente di avere un confronto di risultati che permette di misurare attraverso un approccio differente il valore d’azienda, sostenuto da un approccio pragmatico.
Il CAPM (Capital Asset Pricing Model) è un modello matematico della teoria di portafoglio (H. Markowitz) pubblicato da William Sharpe nel 1964, che determina una relazione tra il rendimento di un titolo e la sua rischiosità, misurata tramite un unico fattore di rischio, detto beta.
Non volendo entrare in un dettaglio estremo del modello, prenderemo in considerazione un insieme semplificato privo di tasse e costi di transazione e nel quale l’orizzonte temporale sia il medesimo con medesime caratteristiche relative ai rendimenti attesi ed alla rischiosità. (portafoglio efficiente Tobin).
In questo scenario, investendo in un titolo, sono sostanzialmente presenti due fattori di rischio:
- Il rischio diversificabile, che può essere eliminato attraverso la “diversificazione” degli investimenti detenuti
- Il rischio sistemico, implicito nell’investimento in una specifica attività e non annullabile attraverso la diversificazione
A titolo di esempio, nel caso si decidesse di investire nell’intero mercato azionario, attraverso uno strumento quale ad esempio un fondo comune, verrebbe di fatto eliminata la componente a) attraverso lo strumento della diversificazione.
Tuttavia si rimarrebbe comunque esposti alla componente b) rischio sistemico, determinato dalla dinamica del mercato azionario che è condizionata ad esempio dalle variabili del sistema economico.
Di conseguenza, il rendimento atteso del mercato azionario dovrà essere maggiore del tasso degli investimenti privi di rischio – Risk Free.
Il Capital Asset Pricing Model, seppure in presenza di una serie di limitazioni che analizzeremo in un altro articolo, consente di individuare il rendimento di un titolo che sarà dato dalla somma del rendimento privo di rischio ed un premio per il rischio che si configuri come la parte di rischio sistemico e non diversificabile.
Questo premio per il rischio sarà correlato al valore di coefficiente beta, coefficiente che misura la sensibilità del rendimento del titolo specifico ai movimenti espressi dal mercato.
Tanto più elevato sarà il Beta di una azione, tanto maggiore sarà il suo rendimento atteso, perché maggiormente elevato sarà il grado di rischio non diversificabile.
Generalmente, nel calcolo del modello, quale tasso free-risk è rappresentato dal rendimento dei titoli di Stato a lungo termine, mentre valore di beta per le aziende quotate in borsa viene generalmente pubblicato ed è comunque ricostruibile tramite una analisi storica delle quotazioni rettificate, mentre per le società non quotate si tende a ricercare aziende quotate comparabili depurando dal valore così individuato la componente di rischio finanziario della società quotata ed aggiungendo la componente di rischio finanziario della società che si intende valutare.
l modello fu poi sviluppato indipendentemente da Lintner (1965) e da Mossin (1966).
Per il suo contributo al modello CAPM Sharpe ha condiviso nel 1990, assieme a Merton Miller e Harry Markowitz, il premio Nobel per l’Economia.
In estrema sintesi, alle società di advisory, vengono fornite con approccio differente, solide basi valutative, che consentono di supportare la negoziazione legata ad ogni singola operazione da differenti punti di vista, garantendo un approccio professionale e differenziante.